
“Noi amministratori di condominio non facciamo paura a nessuno“.
La paura cui allude Piero De Blasi, 62enne leccese con studio in città da oltre 30 anni, è ovviamente metaforica. “È cioè quella – precisa lui – che altre categorie professionali hanno la forza di incutere, facendo massa critica e promuovendo azioni unitarie tali da indirizzare le scelte della politica“.
Gli amministratori di condominio, secondo De Blasi, non hanno invece questo potere né questa capacità, a dispetto delle tante associazioni che li “rappresentano”.
I limiti delle associazioni degli amministratori di condominio
A parere di De Blasi, “Le varie associazioni di categoria, pur animate dai migliori propositi e costantemente alla ricerca di nuovi adepti, hanno dimostrato di saper aumentare i ranghi degli iscritti, ma non di serrarli efficacemente verso la politica per ottenere risultati utili al miglioramento della qualità del nostro lavoro”.
“Personalmente – racconta l’amministratore leccese – sono un iscritto Anaci (Anai, un tempo) della prima ora. E continuo ad esserlo, in verità, più per l’utilità che mi deriva dal materiale di consultazione e dai corsi di aggiornamento, che per la convinzione che attraverso l’associazione possa ottenersi una riqualificazione del lavoro“.
“Ciò, pur senza giustificarlo, spiega anche la ragione della mia scarsa partecipazione alle attività dell’associazione, sul cui operato non possiedo, colpevolmente, elementi di valutazione”, ammette De Blasi.
“Ciò che posso fare è, dunque, limitarmi ad alcune constatazioni“.
Quali?
Una professione sempre più complessa
“Quella dell’amministratore di condominio – esordisce De Blasi – è diventata una professione ingrata. Rispetto a quando ho iniziato a svolgerla, le incombenze, le responsabilità, il tempo da dedicare al lavoro si sono moltiplicati in maniera esponenziale”.
“Lo dico a ragion veduta, dato che ho avuto modo di seguire l’evoluzione di quest’attività attraverso un lasso di tempo molto lungo considerato che, quando mi ci sono dedicato, mio padre la esercitava già da tempo.
“Ebbene, oggi, pur disponendo dei mezzi informatici, la gestione di un condominio richiede un tempo triplo rispetto a quello necessario anni fa, quando un quadro di riparto si compilava a mano casella per casella senza i fogli di calcolo. Da allora, gli adempimenti si sono moltiplicati a dismisura vanificando i vantaggi che sarebbero derivati dalle innovazioni”.
L’incremento delle incombenze, però, non è corrisposto a quello dei compensi. Tutt’altro.
Una spietata concorrenza al ribasso
“Più volte mi è capitato di constatare personalmente come una concorrenza fatta a suon di offerte ridicole, abbia prodotto a seconda dei casi:
- il nascere di studi che in breve tempo hanno fatto incetta di incarichi per poi eclissarsi, sopraffatti da una mole di lavoro che non avevano saputo prevedere
- o, peggio, di studi che hanno di fatto adeguato, al ribasso, la qualità del servizio reso agli emolumenti percepiti.
Tutto bene fino a quando i condòmini non si son visti l’ufficiale giudiziario dietro l’uscio o fino a quando hanno dovuto fare la colletta per pagare le fatture per riavere l’acqua nelle abitazioni oppure quando hanno scoperto che a fronte di un sinistro importante il premio della polizza assicurativa non veniva pagato da anni“.
“Le conseguenze di certo non hanno dato lustro a una categoria che ha il compito di garantire una normalità che si riesce ad apprezzare solo quando viene a mancare, senza comprendere la mole di lavoro che c’è dietro“.
Quali soluzioni? O, almeno, quali contromisure?
Il compenso minimo obbligatorio per gli amministratori di condominio
“Se l’obiettivo della categoria degli amministratori di condominio non fosse quello di lavorare di più, ma di lavorare meglio, si dovrebbe prevedere un compenso minimo obbligatorio parametrato sulle diverse tipologie di condominio oltre che sul numero di unità”.
“Servirebbe una campagna informativa che consentisse agli amministrati di comprendere che l’amministratore è colui che tutela quotidianamente uno dei loro beni più preziosi. E corrispondergli 50/80 euro in più all’anno ad unità immobiliare (di questo, in fondo, si tratterebbe!) rappresenterebbe comunque una percentuale irrisoria sul costo totale annuo di una casa“.
“Eppure il compenso dell’amministratore condominiale viene giudicato sempre troppo alto, quando non superfluo. E la colpa va imputata a una visione distorta della nostra professione. Un racconto svilente che parte dall’alto”.
Da dove, in particolare?
Le lacune della legge 220/2012
“La politica – lamenta De Blasi – è la prima a penalizzarci o, nella migliore delle ipotesi, ad ignorarci. Si pensi alla legge 220/2012. Speravamo potesse risolvere questioni complesse e agevolarne di più semplici. Invece è stata scritta ispirandosi quasi a una logica punitiva nei confronti degli amministratori“.
“Nella legge non è stata accolta praticamente alcuna delle istanze che miravano a delineare un quadro normativo rivoluzionario, moderno, bonificato da arcaismi. Un quadro che definisse aspetti tecnico-giuridici tali da offrire risposte certe a quesiti storicamente irrisolti che intasano i tribunali, infuocano le assemblee, esasperano i condòmini e gli amministratori“.
Possiamo entrare nel merito?
“La lista per gli addetti ai lavori sarebbe lunga – precisa l’amministratore leccese -. Ma bastano pochi esempi:
- applicazione dell’art. 1126,
- superamento di regolamenti contrattuali obsoleti e fuori contesto,
- disciplina sui balconi aggettanti,
- esigibilità delle quote a preventivo fino alla successiva assemblea ordinaria,
- durata del mandato,
- nullità o annullabilità delle delibere…
“Servivano, insomma, riferimenti inequivocabili, mentre ci si continua a barcamenare tra sentenze contraddittorie che consentono a chiunque di affermare tutto e l’esatto contrario”.
Ma perché la riforma del condominio non avrebbe assecondato le istanze degli amministratori?
“La conflittualità condominiale come “ammortizzatore sociale”
“Innanzitutto, a pensar male peccando, si potrebbe affermare che imprimendo certezze normative in materia condominiale ci si priverebbe di una sorta di “ammortizzatore sociale”. Quello, cioè, di cui continuano a godere le categorie professionali che confidano proprio nella conflittualità condominiale, nelle responsabilità dell’amministratore, nelle incombenze fiscali, o, in genere, su margini troppo ampi di interpretabilità lasciati dall’incertezza normativa”.
Il pasticcio dei bonus edilizi
“Ma per venire a tempi ed esempi ancora più recenti – denuncia De Blasi – pensiamo a tutta la delirante disciplina che si è susseguita dal 2020 in materia di bonus edilizi“.
“Come è concepibile una misura epocale come il bonus 110% senza una consultazione seria e approfondita con gli amministrator di condominio? Chi altri, se non gli amministratori, avrebbero potuto valutarne modalità e fattibilità?
“Ma d’altro canto i governi con chi dovrebbero confrontarsi? Quale tra le tante sigle di associazioni potrebbe indurre i governanti a legiferare in maniera meno disinvolta? Ne conosco almeno 10…!”.
Agli amministratori di condominio manca una rappresentanza unitaria
“L’assenza di una rappresentanza unitaria fa sì che gli amministratori condominiali siano l’ultimo anello della catena”, sancisce De Blasi.
“Ciò che ci manca, è un organo nazionale coeso, in grado di sintetizzare le istanze, di far sentire la nostra voce, di aggregarci intorno ad obiettivi condivisi, di mobilitarci, di contare nelle sedi decisionali ed istituzionali”.
Insomma, di incutere quella “paura”, cui lei alludeva all’inizio…
“Sì, proprio quella. Ma nell’accezione positiva del termine. Intendo che, prima di mettere mano a decisioni che ci toccano in prima persona, e che troppo spesso ci troviamo passivamente a subire, la politica dovrebbe iniziare a confrontarsi con la nostra categoria attribuendole un peso e una forza contrattuale, che oggi non possediamo“.
“L’immagine che diamo è quella di una categoria non spaccata negli intenti ma certamente parcellizzata nell’azione tanto da generare disillusione e rassegnazione negli stessi appartenenti“.
“E dire, che noi non rappresentiamo solo i nostri interessi, ma anche, indirettamente, quelli di 40 milioni di italiani che vivono in condominio. Migliorare la qualità del nostro lavoro, vuol dire rendere più serena la vita di chi vive in condominio“.